Fonte : www.genova.repubblica.it

Ventimiglia, così i migranti disegnano la loro odissea

Un'insegnante di arte ha convinto una ventina di profughi a raccontare la loro storia e sé stessi con i disegni. Superando la paura

 Un barcone carico di persone, due squali lo fiancheggiano. Una jeep su uno sfondo giallo, e un omino che cade. Una grande, coloratissima Africa su cui sono incollate le bandiere di tutti i Paesi da cui gli “artisti” provengono.
«I ragazzi mi hanno spiegato i significati di ogni cosa, ora so cos’è quella stella nera, cosa rappresentano il rosso, il giallo, il verde». L’identità, l’orgoglio, la nostalgia, certo; e poi quel mare azzurro pieno di puntini neri - sono uomini.
«Ciò che non riesci a esprimere con le parole diventa più facile con un disegno, ed è così che ho pensato di usare l’arteterapia: prima, l’estate scorsa, con i ragazzi accampati sugli scogli dei Balzi Rossi, adesso, con gli ospiti del Seminario di Bordighera e al campo della Croce Rossa sul Roja». Sospira e insieme ride Monica Di Rocco, insegnante di discipline artistiche a Dolceacqua, borgo della Val Nervia dipinto anche da Monet, estremo ponente
ligure. Da oltre un anno, da volontaria, è impegnata nell’arteterapia con i migranti che a Ventimiglia cercano di passare il
confine invisibile, ma per loro blindato, con la Francia, per proseguire il loro viaggio. Lei abita a Grimaldi superiore, a cinquecento metri dal sentiero che porta al Passo della Morte dove li vede tentare di superare la frontiera. Li vede e non può far finta di niente, spiega: «Questi incontri mi hanno cambiato la vita». Ha chiesto loro di raccontarsi con i disegni.

E all’inizio non è stato semplice. Poi i colori hanno dato voce a incubi chiusi in fondo al cuore, a momenti indicibili.
Il tema della paura Monica lo ha affrontato usando l’Urlo di Munch, isolato dallo sfondo e utilizzato come “guida” a esprimere ciò che i ragazzi avevano dentro. «Ho spiegato loro il signifcato della paura, li ho invitati ad affiancarvi la loro. Molto spesso, oltre al viaggio attraverso il deserto e il mare, disegnano anche il carcere o il campo di detenzione in Libia».

Ma c’è anche la speranza: simboli di pace, scritte, qualcuno tratteggia un cuore. Ma soprattutto, per provare a raccontarsi, per spiegare “io chi sono”, ecco il disegno dei loro zaini, di quello che c’è dentro e che testimonia

la
vita prima di partire: un maglione, oppure un cellulare, legame quest’ultimo irrinunciabile con la famiglia o con chi li attende da qualche parte in un’Europa che non sanno se potranno mai raggiungere.
Infne, i sogni: di diventare calciatore, parrucchiere, meccanico. O magari pittore, come Ousmanou che viene dal
Camerun e ha dipinto un quadro enorme: l’Africa, il mare tutto intorno e infine gli approdi. Un’odissea colorata, proprio come il suo sogno.